Il vero ibrido avrà il potere di trasformare completamente il panorama IT nei prossimi due anni, consentendo alle aziende di scalare senza problemi il consumo e la struttura dell’IT
Il termine “ibrido” figura nelle previsioni annuali degli esperti IT da almeno tre/quattro anni. La sua efficienza, la flessibilità dell’architettura e i benefici in termini di sicurezza, nel supportare carichi di lavoro, dati e applicazioni, sono stati più volte decantati come un modo di trasformare l’IT aziendale e trarre il massimo valore dai cloud pubblici e privati.
Perché allora parlare ancora di previsioni per il 2015?
Certo, abbiamo visto alcuni esempi straordinari di aziende che hanno iniziato a eseguire carichi di lavoro critici in un ambiente ibrido, molte di quelle che hanno sperimentatolo l’ibrido per la prima volta si sono però concentrate su i test e lo sviluppo o sul disaster recovery. Pur se molto importanti, questi casi utente hanno realizzato implementazioni a silos, fondate sul paradigma che ibrido possa significare semplicemente eseguire cloud pubblici e privati insieme.
Questa però non è la realtà, il vero significato di ibrido. Il vero ibrido, infatti, avrà il potere di trasformare completamente il panorama IT nei prossimi due anni, consentendo alle aziende di scalare senza problemi man mano che crescono il consumo piuttosto che la struttura dell’IT. Quale può essere allora il modo per sfruttare il potenziale del vero ibrido?
Non c’è dubbio che le esigenze dell’IT sono ogni giorno più scottanti. I dipendenti e le organizzazioni per cui lavorano sono più mobili, connessi, interattivi, immediati e flessibili che mai. I C-level fanno richieste incessanti all’IT – sia che si tratti di abilitare nuovi prodotti e linee di servizi, sia di fare evolvere e automatizzare la catena di fornitura o migliorare l’efficienza, consentendo pratiche di lavoro maggiormente moderne o trasformando il servizio clienti o il modello di go-to-market per il business. L’IT affronta una lotta costante per tenere il passo.
In definitiva, si deve trovare una soluzione che renda l’infrastruttura IT sottostante il più agile e reattiva possibile… Così come il vero cloud ibrido prometteva! Eppure molti degli ambienti oggi definiti come “ibridi” non mantengono questa promessa, poiché sono in realtà solo combinazioni di cloud pubblici e privati, con poca o nessuna compatibilità tra loro. Le applicazioni devono essere riscritte o hanno bisogno di plug-in per spostarsi tra cloud diversi, ed è necessario avere degli strumenti totalmente diversi (e spesso anche competenze differenti) per farli funzionare. Ne risultano degli ambienti di test utili, ma dall’impatto reale sul business decisamente limitato.
Il vero ibrido, al contrario, crea un ambiente in cui i carichi di lavoro possono essere spostati a proprio piacimento, tutto senza discontinuità, utilizzando esattamente gli stessi strumenti già noti ai team IT.
In questo contesto, le applicazioni critiche garantiscono le prestazioni necessarie, mentre le risorse possono essere allocate e fornite dove richiesto. Questo rende l’IT più sensibile alle richieste del business, grazie alla capacità di mettere a disposizione all’istante nuove infrastrutture per far fronte a nuovi progetti, impostare server virtuali per gestire un nuovo sistema nelle varie aree aziendali, come le risorse umane, il marketing ed altre ancora. E, naturalmente, anche la possibilità di scalare al contrario con la stessa facilità in caso di necessità; uno degli aspetti principali per cui a oggi l’ibrido non ha ancora guadagnato abbastanza interesse è la difficoltà – spesso impossibilità – di riportare indietro i carichi di lavoro dal cloud pubblico.
Tra le preoccupazioni maggiori riguardo ai cambiamenti nell’ambiente IT vi è la sicurezza; il senior management deve poter avere una fiducia totale nella capacità di scalare in modo sicuro in linea con la domanda di business. Un vero deployment ibrido può sfruttare le policy IT esistenti per soddisfare i requisiti di sicurezza, compliance e controllo. In questo modo è in grado di affrontare le difficoltà che le organizzazioni incontrano quando si tratta di rispettare la sovranità e la compliance dei dati, preoccupazioni divenute all’ordine del giorno nello scenario post-NSA, e che continuano a trovare ampio spazio nelle agende dei CXO.
Nel 2014, VMware ha reso disponibile il suo servizio vCloud Air in Europa, pensato in gran parte per affrontare proprio questa preoccupazione. Posto in un luogo del Regno Unito che soddisfa i requisiti legislativi di compliance a sovranità dei dati per la Gran Bretagna e l’Unione Europea, il servizio registra una forte richiesta da parte di quelle aziende che sono sotto pressione dal punto di vista del taglio dei costi e della richiesta di maggiore flessibilità, ma che non possono scendere a compromessi in termini di compliance. Quest’aspetto continuerà ad acquistare rilevanza nel 2015.
Dato che i reparti IT continueranno a subire pressioni da ogni fronte per offrire un servizio migliore, più economico, più veloce, più sicuro, più agile e – ovviamente – pienamente conforme, sono convinto che vedremo il cloud ibrido entrare veramente in gioco quest’anno, pronto ad affermarsi come l’infrastruttura IT de facto del prossimo decennio e oltre. Gartner afferma che quasi la metà delle grandi imprese implementerà un cloud ibrido entro il 2017, si tratta di un percorso che non può essere più ignorato.
Il vero ibrido:
In conclusione, che cosa dovrebbero considerare le aziende che vogliono confrontarsi con il cloud ibrido nel 2015?
– Agilità di business. Il business non può più attendere che l’IT lo raggiunga. Una concorrenza più agile ruba una fetta importante di mercato alle imprese più grandi, se queste non riescono a reagire ai cambiamenti o a sfruttare le nuove opportunità abbastanza rapidamente. Questo significa che l’IT deve essere in grado di installare e dismettere, testare e distribuire le applicazioni senza costruire nessuna nuova infrastruttura.
– Compatibilità. Un business in crescita potrebbe avere bisogno di supporto per migliaia di applicazioni e sistemi operativi, quindi è importante avere una soluzione installata che sia compatibile con il proprio data center on-premise, comprendendo anche l’infrastruttura e la funzionalità di disaster recovery.
– Facilità d’uso. Il percorso di espansione nel cloud non può essere una strada a senso unico in un territorio sconosciuto. Si possono posizionare facilmente i carichi di lavoro su entrambi i cloud, pubblico o privato, e sfruttare le policy IT esistenti, affidandosi alla stessa base di supporto del proprio data center onsite. Cercate la trasparenza anche in termini di pianificazione e budget, pagando una cifra fissa calcolata in base alla capacità e non solo a quello che viene utilizzato.
– Garantire la compliance. Le problematiche di compliance incidono sempre più sulle organizzazioni, quindi è imperativo che le aziende possano garantire che i propri dati risiedano nel luogo che hanno scelto, con piena conformità rispetto alle leggi locali. Conoscendo dove i propri dati risiedono in ogni momento, l’IT può dedicare più tempo ad aiutare l’azienda per offrire un’infrastruttura scalabile e flessibile che soddisfi le richieste che i business leader gli indirizzano.
A cura di Richard Munro, Chief Technologist vCloud Air di VMware